Come more tra le spine
“Preferisco il ridicolo di scrivere poesie, al ridicolo di non scriverne affatto.”
Dalla poesia Possibilità di Wislawa Szymborska
Questo percorso raccoglie le poesie che sono state premiate nella terza edizione del Concorso Semi diVersi, svoltasi nel 2024 per volontà dell’Amministrazione Comunale di Riese Pio X e che ha visto partecipare 347 persone dai 7 anni in su. Anno dopo anno questa iniziativa riscuote un successo crescente, registrando un numero sempre maggiore di partecipanti sia tra i bambini sia tra i giovani e gli adulti. Se per i primi il ringraziamento va soprattutto agli insegnanti, che grazie al loro lavoro e alla loro passione, custodiscono e rivelano al mondo le parole dei bambini e delle bambine, per i secondi non possiamo che constatare come la poesia si configuri come una forma d’arte e di resistenza: le parole, infatti, non sono solo strumenti di comunicazione, ma anche mezzi per esprimere e formare i pensieri, modellando così la realtà che abitiamo. Scegliere le parole con cura significa, infatti, contribuire a creare un mondo più consapevole e autentico, dove la poesia diventa un patrimonio condiviso e un veicolo di speranza e cambiamento.
Scuola Primaria
PRIMO PREMIO
La poesia “Il Mistero del calzino sparito” è molto profonda e coglie perfettamente l’essenza del messaggio trasmesso dall’autore. La scelta di utilizzare un calzino come simbolo per rappresentare l’individualità e la diversità è particolarmente efficace, poiché riesce a rendere un concetto complesso accessibile a un pubblico giovane e meno giovane. Il parallelo tra i calzini spaiati e le varie personalità delle persone offre una riflessione importante sulla bellezza della diversità, tema attuale e significativo, che incoraggia l’accettazione e la celebrazione delle differenze.
La poesia, quindi, non solo intrattiene ma invita anche a una riflessione profonda su come ognuno di noi possa trovare bellezza e valore nelle proprie unicità. Il tono allegro e speranzoso della poesia riesce a catturare l’attenzione dei lettori, rendendo il messaggio di condivisione e apertura verso il “diverso” ancora più potente. Il finale, coinvolgente ed arguto, lascia un’impressione duratura e invita alla riflessione, senza
mai perdere di vista l’innocenza e la creatività tipiche dell’infanzia. La poesia si presenta come un ottimo esempio di come la scrittura possa essere un mezzo per esprimere emozioni, valori e ideali, facendo eco a temi universali attraverso una lente ludica e leggera. Merita sicuramente di essere riconosciuta e apprezzata, non solo per la sua forma ma anche per il suo contenuto significativo.
Nel cassetto dei calzini, un gran mistero,
uno è sparito, così, per davvero!
Erano in coppia, perfetti davvero,
ma ora uno manca: che guaio vero!
Ho guardato nel letto, sotto il cuscino,
niente da fare, è sparito il calzino!
Forse è fuggito, chissà dove sta,
magari è stanco della solita realtà.
Lo immagino danzare sul monte innevato,
o al sole sul mare, da solo sdraiato.
Forse ha trovato un calzino straniero,
un amico diverso, di un colore sincero.
E alla fine capisco, con tanta allegria,
che ogni calzino, ha la sua fantasia.
Se un giorno scompare, non temer davvero,
tornerà con un sogno prezioso e sincero.
SECONDO PREMIO
L’idea di personificare la pancia come un’entità che sente e reagisce è un modo molto efficace per far comprendere ai bambini, e anche agli adulti, quanto siano collegati il nostro stato d’animo e le nostre sensazioni fisiche. La descrizione della pancia in base alle emozioni è poetica e visivamente evocativa: la pancia come una piuma rappresenta la leggerezza della felicità, mentre il suo diventare fredda e buia in caso di tristezza parla di un appesantirsi del cuore. Ogni emozione ha una forma e un colore, quasi come se la pancia fosse un piccolo universo in grado di riflettere ciò che proviamo dentro. Il finale, in cui il bambino si preoccupa per le pance degli altri, è un invito potente alla comprensione e all’empatia. In un mondo dove spesso si tende a giudicare superficialmente, la poesia ci ricorda che dietro ogni comportamento c’è una storia, un’emozione, e che tutti noi portiamo le nostre piccole “pance” cariche di sentimenti. Complimenti al giovane poeta per aver affrontato un tema così profondo con una semplicità e una sensibilità che possono toccare il cuore di chi legge. La sua opera è un bellissimo promemoria di quanto sia importante ascoltare non solo noi stessi, ma anche gli altri, e di come una maggiore consapevolezza delle emozioni possa aiutarci a costruire relazioni più empatiche e significative.
Io sono la mia pancia.
Ci vivono tante emozioni
nella mia pancia.
Quando c’è Felicità
la mia pancia è una piuma che vola via,
gioca con il vento,
sorride al sole.
Quando c’è Tristezza
mi sento a corto di energie,
la mia pancia è fredda e buia.
Quando c’è Rabbia
mi sento rigido,
la pancia è dura e
fa male.
Provo a calmarla,
senza fare uscire all’improvviso
la sua forza.
La faccio salire
verso il cervello,
perché, salendo,
si ammorbidisca,
si alleggerisca
e la mia pancia torni serena.
Quando c’è Paura
la mia pancia fa una “C”,
c’è una luce poco, poco forte.
La vinco deglutendo
e la scarico dai piedi
correndo forte, forte…
Stando vicino
ai miei amici,
trovo coraggio e mi sento più sicuro.
E la luce torna normale.
Quando c’è Sorpresa
la mia pancia
è in movimento,
tutto il mio corpo
è frizzante:
occhi spalancati e attenti,
orecchie aperte,
dita e mani come mille formiche
che cercano e scoprono…
E la mia pancia
esplode di colori.
Io sono la mia pancia,
così sono io.
E nella pancia degli altri,
che cosa c’è?
TERZO PREMIO
In questa poesia in rima baciata e ricca di particolari ed aggettivi, l’autore vede le città come caramelle da scartare e mangiare! Con questa similitudine fa capire quanto gli piaccia viaggiare. In un modo abile e pieno di ritmo e simpatia il poeta ci porta nel suo viaggio toccando le città di New York, Parigi, Barcellona, Spalato per poi tornare in America a Los Angeles, un viaggio divertito e ricco di particolari, cogliendo i simboli più importanti di ognuna: statue, grattacieli, musei, torri, baguette, animali, cattedrali, mare, pesci, cantanti famosi! Il lettore legge divertito questo incredibile viaggio ritmato, da uno stato all’altro, restando con la curiosità di sapere se davvero il poeta sia un bambino fortunato o se qualche viaggio sia solo ispirato dalla sua fantasia, da lezioni di geografia o dai libri che ha letto!
Le città sono belle perché ti fanno sognare
un po’ come le caramelle da scartare e mangiare.
Ho sempre desiderato viaggiare
che adesso non saprei nemmeno da dove cominciare.
Luci, grattacieli e la statua che ho visto ieri,
a New York stai proprio senza pensieri.
La gente famosa vuoi incontrare
Al museo delle cere ricordati di andare.
La torre Eiffel è spettacolare
e sulla tua lista Parigi non può proprio mancare.
Con la baguette sotto il braccio
A venire qui fai proprio un colpaccio.
A Barcellona mi hanno stupita pappagalli
con i semi sulla mano, si avvicinavano verdi e gialli.
La Sagrada Familia è visitata ogni secondo
perché è la chiesa più bella del mondo.
In Croazia ci vado ogni anno
ed è qui che festeggio il mio compleanno.
A Spalato l’acqua è proprio uno schianto e lo capisci nuotando.
Delfini e pesci marini infatti trovi navigando.
Los Angeles ti dà una mossa
che ti scuote tutte le ossa.
La città degli angeli è fatta per volare
E forse Taylor Swift qui riesco ad incontrare!
Venezia è il nostro vanto
e con le maschere ci divertiamo tanto.
Le star del cinema sfilano sul tappeto rosso
con vestiti e gioielli incredibili addosso.
A Roma anni fa una monetina ho lanciato
e forse la fortuna mi ha baciato.
Il passaporto ho tanto desiderato
e giovedì a Treviso l’ho ritirato!
Scuola Secondaria
PRIMO PREMIO
In un momento in cui la crisi ecologica è diventato il problema principale del pianeta Terra, la poesia ‘Madido di anni’, prendendo come emblema un pino secolare, affronta la difficile coesistenza di un’umanità sempre più materialista con una Natura che sembra sempre più indifesa: alla bellezza di questa pianta centenaria che si erge su un’aspra montagna, metaforicamente coperta dalle gocce del tempo trascorso, il poeta contrappone la bruttezza delle angherie umane o dell’indifferenza di chi pensa senza scrupoli che la Natura sia quantificabile in denaro. Tuttavia, una speranza resiste nel cuore di colui che riconosce umilmente, ai piedi della montagna, di far parte della Natura: è la fiducia nel mega-tempo che governa il mondo che darà ragione al vecchio pino, il quale alla fine rappresenta la resistenza anche del bene contro gli attacchi del male.
Sull’aspra montagna si erge
un pino maestoso, madido di anni
resistito senza perire alle angherie umane.
Oh stolidi sordidi senza pietà
vi soffermate sulle frivolezze dei danari
e non vi importa null’altro
che avere in tasca quattro quattrini.
Speriamo che ai posteri tu resista:
se ti mutileranno, indarno avverrà.
Solo l’incessante passare
del tempo sarà rivelatore.
E io, poveretto, ai piedi della montagna
posso solo dire: resisti!
SECONDO PREMIO
‘O montagna’ è una poesia che invoca un luogo così pieno di bellezza e di storia da diventare quasi una persona a cui il poeta si rivolge: è lei che nei secoli è stata testimone di tante storie, è lei che nei millenni conta lo scorrere del tempo delle stelle. Anche se spesso l’uomo non ne è custode ma elemento devastatore, la montagna non cessa di essere un luogo di un immenso sapere, custode quasi materna dei tanti morti in guerra e lassù per sempre sepolti. Perché questa poesia pone tante domande alla montagna, che sembra non ribellarsi alla violenza dell’uomo? Forse perché la montagna è l’immagine più pura del desiderio insito nel cuore dell’uomo, che senza saperlo attende la salvezza da un dio che oggi sembra silenzioso, ma solo perché il suo porsi come sacro parla attraverso la bellezza, proprio come fa la montagna, che si erge sacra come luogo del divino.
O montagna mia,
che a tante storie hai assistito,
felici o tristi che siano,
ma enormemente preziose.
Tu, che là ferma stai,
che stai contando le stelle da millenni,
che hai subito dolori: hanno tolto pezzi di te
e ti hanno riempito di corpi estranei.
Te, che li aiuti senza pretendere nulla in cambio,
te, che subisci quello che loro ti fanno,
perché non ti ribelli?
Te, che contatto hai con la natura,
te, che sei la natura,
te, che li nutri e gli offri riposo,
che di profumi e sapori il mondo distrutto riempi,
perché non ti ribelli?
Dimmi, o montagna, l’immenso sapere che possiedi,
di cui non ti vanti e non lo usi male.
Dimmi, quanto ti fanno male la pioggia, la neve e l’uomo,
che ti abbassano e ti fanno perdere la tua altezza,
i tuoi ricordi sepolti sotto metri di ghiaccio che sciogliendo si stanno,
e che loro sfruttano senza degnarsi.
Tu, che assisti a tutto questo, perché non ti ribelli?
Te, che cadaveri sepolti hai,
che uomini che hanno fatto la storia possiedi,
che hai ispirato poeti, inventori e sapienti,
che la saggia mela feci cadere sull’inglese,
che hai dato l’ospitalità alla santa Trinità,
che hai reso il masso davanti al sepolcro leggero alle mani delle donne,
perché non ti ribelli?
O montagna, ti senti tradita da coloro che aiutato hai,
e che male ti hanno fatto?
Ti senti tradita da coloro che difeso hai
e che dopo loro difeso non hanno te?
Perché, o montagna, continui
ad offrire la nutrizione essenziale,
a loro, incoscienti, che la stanno abbattendo?
Cosa vedi di buono in loro?
Tu, che esperienza immensa hai, perché li supporti?
Tu, che subisci sempre più torti, perché li sostieni?
Se vedi qualcosa in loro, quando lo faranno?
Quando capiranno i loro sbagli?
Quando capiranno che devono la coscienza a te
e non quelle stupide, verdi cartacce
a cui l’immenso valore attribuiscono?
Se ribellarti non osi, cosa avrai in serbo per loro?
Speri che un nuovo Salvatore arrivi?
Speri che qualcuno si accorgerà di te?
Speri che qualcuno non ti sfrutti più?
Tu, immensa montagna, che solo a Dio appartieni,
cosa pensi?
TERZO PREMIO
Nella poesia ‘Il bosco’ si percepisce immediatamente il desiderio del poeta di immergersi e di fondersi con la Natura per ritrovare intatta, dentro e fuori di sé, la pace immensa che solo la ricchezza naturale riesce a dare. Attraverso un tessuto testuale ricco di metafore riferite al rivestirsi della Natura da parte del soggetto (come “sono avvolta da un silenzio ovattato”, “calpesto un morbido tappeto”; “indosso una pace immensa”), e le similitudini riferite agli elementi naturali che si mostrano al soggetto (come “ogni albero è scultura”, “suono simile al tamburo”, “ricco è di sentieri”), il bosco con i suoi sentieri profumati avvolge chi lo attraversa senza timore: è un luogo accogliente per chi lo sa ascoltare, non è la spaventosa selva dantesca, anzi esso dà il ritmo alla marcia sicura del soggetto, che percepisce i bivi che lo attraversano come esempi delle scelte che caratterizzano ogni vita, con la giusta dose di mistero.
Sono avvolta da un silenzio ovattato,
interrotto dai rumori della natura,
ogni albero è scultura,
ti senti abbracciato.
Calpesto un morbido tappeto,
il suo suono simile al tamburo,
come un soldato che marcia sicuro,
m’imbatto in un ruscello tortuoso e puro.
Ricco è di sentieri,
com’è la nostra vita
i bivi sono carichi di misteri.
Tra le felci
un profumo intenso
entro in simbiosi con la sua anima
indosso una pace immensa.
Scuola Secondaria di II grado
PRIMO PREMIO
Breve componimento di quattro strofe, un moderno sonetto con rime sparse, “Con sole 26 lettere” esprime un’acrobazia letteraria giocata con le lettere dell’alfabeto che, nella loro immediatezza e semplicità possono svolgere un metaforico ma gioioso e fantasioso viaggio nella geografia di un mondo colorato e pieno di attese speranze. Le lettere hanno un’anima, le parole una loro vita.
Un incerto primo tratto,
un altro più deciso a fianco.
Una piccola lettera dell’alfabeto
su un immenso foglio bianco.
Un’altra lettera e un’altra ancora,
finalmente una parola:
ho creato un aquilone
con sole 26 lettere a disposizione.
Ora, dando spazio alla fantasia
posso creare una storia tutta mia:
l’aquilone si mette in viaggio
e, solcando i cieli, visita la Cina in maggio.
Ritornando, racconta la sua esplorazione
ad uno scrittore in cerca di ispirazione
che, a partire da un piccolo tratto nero,
ha dato vita ad un testo intero.
SECONDO PREMIO
Componimento a forma di simil sonetto, ben organizzato in versi rimati e cadenzati. Lessico sofisticato, quasi aulico, la poesia “Attori” è ricca di eleganza e fini sentimenti. Nella difficile vita di ogni giorno, che a ciascuno richiede un ruolo, siamo tutti attori, dietro le nostre maschere di ottimismo. Destinati ad una sorte prestabilita. Ma c’è, forse, la possibilità di perdersi come camaleonti nel tutto delle cose, mentre l’anima cerca un senso e il cuore sfugge alla durezza della pietra.
A fronte alta, con sguardo altero,
su le corazze contro il mondo intero.
Celato è il volto dietro al muro?
Vòlto è il tuo cuore inerme e duro?
Sorrisi dietro, maschere in apnea,
occhi di storia di sorte achillea.
Un lampo rubato, un ritmo sospeso,
palpita tutto in un quadro acceso.
Pagine, petali d’un tomo vetusto,
artefici e miseri di lieto gusto.
Ognuno espone il suo anfratto di fato,
che tutto in puro veste è già nato.
Foglie d’autunno, danza nel vento,
ombre fugaci d’un momento.
Io, camaleonte, mi perdo nel tutto,
l’anima cerca un senso nel flutto.
TERZO PREMIO
Quasi un’ode agli Dei, Dei moderni, questa poesia invoca il buon senso e il ritorno alla saggezza in un mondo che ha perso tutti i valori fondamentali. Tutto appare consacrato alla modernità e al denaro, e invece l’autore di “Ali di cera” interroga antiche virtù affinché tornino ad illuminare le menti, che sembrano sempre più ali di cera, pronte a dissolversi troppo presto, incuranti di chi, invece, vuole mantenere una lingua che esprime radici intrecciate di cultura e classicità.
Vi canto, o nuovi Dei,
l’ira degli antenati
che scuote i rami
del dendro d’asfalto.
I vostri rami, ora,
hanno contagiato le
arcaiche radici,
ma non sono i miei rami, no.
Avete seccato le foglie
d’alloro del Padre:
ora sono una comune
“corona di studi”,
la mia insensata aureola
di classicità arrugginita.
La colonna spezzata respira,
abbastanza da gridare
“Epica, Mito, Virtù”
in una lingua dimenticata e umiliata
da cemento che ricopre il marmo
mentre Moderno e
Denaro conficcano
le loro insegne d’acciaio
nel ventre della cultura.
Ma concedetemi un’ultima clemenza,
O nuovi Dei del Progresso,
di volare ancora per gli antichi cieli
di Zeus, di Omero e della pòlis,
in vecchie illusioni d’ambrosia
con ali fatte di cera.
Sezione Università e età adulta
PRIMO PREMIO
Ispirata dai fatti che la cronaca ci presenta quotidianamente, la poesia rappresenta un formidabile esempio di una umanità ancora capace di indignarsi, di sentire come propri il dolore e la sofferenza di un popolo martoriato. Dà voce a quella parte di genere umano che più di altre, forse, è esposta a queste sofferenze, i bambini: ma soprattutto, i piccoli palestinesi diventano metafora di qualunque bambino al quale, a qualsiasi latitudine, “hanno coperto il futuro”.
Cercate i bambini di Gaza
cercateli tra le macerie razzolare
assieme a cani macilenti,
intenti ad arraffare cibo e cosa
possa prolungare il giorno
alla tenebra pietosa che nasconde.
Terrificante tenebra abitata
Dagli incubi notturni.
Cercateli, sono bambini
che riparano sotto a polverose tende,
dono della stessa mano
che riempie gli arsenali.
Non conoscono casa,
il profumo del cibo
che preparava mamma
hanno oramai dimenticato.
I piccolini hanno conosciuto
solo guerra ed esplosioni,
il sibilo deformante sul volto
della madre, polvere e cenere
hanno coperto il futuro.
Insensati i bambini,
giocano a biglie agli angoli
delle strade sotto un cielo
di acciaio e di piombo,
rincorrono palla con disperata
incoscienza tra l’acre
odore di un corpo che brucia.
Li riconoscerete:
hanno occhi senza età
vecchi senza un passato
occhi incapaci di pianto,
inchiodati al presente dall’odio
paura e dolore; senza fine.
Nelle pupille vedrete
le schegge impazzite, frantumi
di orrore e terrore.
Cercateli con le mine e le bombe
e coi droni, con i missili
scovateli
in scuole e ospedali,
stanateli con la minuziosa cura
dei cecchini,
braccateli con la fame.
Cercate i bambini, cercateli bene:
non tutti sono stati uccisi,
ancora ce ne sono di vivi.
Bimbi senza nome, un soffio,
mentre rimbomba quello dei capi
di stato e dei generali vittoriosi
orgogliosi del proprio destino:
su di loro il giudizio alla fine
sarà affidato soltanto a un bambino.
SECONDO PREMIO
La casa dalle rose bianche che dà il titolo alla poesia non è solo il teatro in cui si svolge la pellicola dei ricordi dell’autrice, ma diventa protagonista essa stessa della lirica. È il richiamo alla mente di un periodo felice fatto di primavere ed estati, di persone care che non ci sono più, di mani modellate dagli anni che accompagnano l’infanzia della protagonista. Il tutto con l’ausilio mirato di metafore e sinestesie, e la sollecitazione di tutte le sfere sensoriali: reminiscenze di un’esistenza che sopravvive solo nel “fiore del limone che ondeggia leggero nella sera”.
E ti ricordo con le mani scolpite dal tempo, la giacca di pioggia
in quella casa dalle rose bianche, le viole che crescevano negli anfratti
il cielo che reclinava e diventava domani
c’erano le travi al soffitto, i nidi delle rondini
la cavalletta all’angolo della persiana chiusa
il soffione maturo che si esponeva al vento scomposto
vene di pietra e lucertole verdi, il frusciare delle serpi nei canneti
sorridevi alla primavera nel lucido intervallo dei sogni
al primo canto blu del cuculo
alla passione delle prime foglie, alle gemme che si concedevano alla vita
accarezzavi i miei passi incerti di bambina, il movimento del cuore
affidando al vento parole con garbo antico
cercando la fiamma del lume che tremava nella nebbia del bicchiere
la tovaglia a quadri sul tavolo là in cucina.
Poi arrivava settembre che graffiava la vita
c’era il dolore nel vento del campo
la luce che moriva sul mare
la neve che bruciava negli occhi come la sete
il respiro del fiume toccava lontano l’orizzonte
ed io restavo aggrappata ad un respiro, ad un filo di vetro
cercando le tue braccia che mi cingevano e non sapevano di buio
lontano il monte che si stagliava nitido ed innevato.
Ora il lampo azzurro del tempo ha cancellato tutto
le rose canine e le ortiche, l’aria di festa nelle sere di fuoco, l’abbaiare dei cani
così ti cerco nel giro di carte della sera, nella bottiglia del Campari
ora che abiti una parola che non so scrivere
ora che mi veste l’assenza ed una cornice senza immagine
oltre l’argine, nella casa delle rose bianche
resta solo il fiore del limone
che ondeggia leggero nella sera.
TERZO PREMIO
È il racconto di un amore finito: finito per un abbandono, per una partenza, per una scomparsa, o finito senza essere mai iniziato. Una vicenda d’amore raccontata con una sintassi lineare e l’uso di metafore misurate, mai invadenti: un amore immerso in un’atmosfera quasi sacra, fatto di gesti, di sguardi, di “ricordi che mi graffiano l’anima”, e la speranza di un tempo che si piega, fino quasi a tornare, ma con le tasche vuote, pronte a essere ancora una volta riempite.